A qualcuno piace networking

In tempi di Unified Communications e di collaboration, hanno ancora senso le “worldwide” conference?

In questi giorni, a Los Angeles, Microsoft ha riunito per quattro giorni una comunità di oltre 11.000 partner, provenienti letteralmente da ogni parte del mondo. Quattro giorni di convegni, seminari, incontri individuali e di gruppo. Quattro giorni di colazioni “comunitarie”, di pranzi al sacco, di cene sociali. Quattro giorni di incontri tecnici, commerciali, di marketing e di business.

Viene da chiedersi se, in tempi di comunicazioni globali, di always connected, di telepresence, eventi come il Wpc (per la città di Los Angeles pare il più importante dell’anno in termini di presenze) hanno ancora senso.

I partner, per lo meno quelli incontrati qui a Los Angeles, sembrano sicuri.
Ne vale la pena.
E non è solo la full immersion di seminari destinati ai tecnici quella che conta.

Quel che conta sono le relazioni.
Il networking si dice in questi luoghi.
Conta la spinta motivazionale.
Conta poter trascorrere quattro giorni insieme al proprio referente in azienda, in una sessione continua di incontro mai altrimenti replicabile durante l’anno.
Conta poter trascorrere tempo con i colleghi di altre aziende, per confrontarsi e sul mercato e sul valore della stessa partnership.

Conta poter incontrare partner di altre nazioni, per valutare possibili collaborazioni o sinergie.
E vedere aziende italiane pronte ad aprirsi verso mercati completamente nuovi, dalla Russia al Sud Africa, con l’innovazione a far da terreno comune per lo sviluppo fa ben sperare. Più di quanto possano fare gli analisti.

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