A Palazzo Chigi la responsabilità dell’Agenda Digitale

Parere unanime per i rappresentanti di Pd, Pdl, Con Monti per l’Italia e Fare per fermare il declino intervenuti alla tavola rotonda organizzata da Anitec a Milano sui temi dell’Agenda Digitale, dove (a parole) è la banda larga a farla da padrona.

Una governance forte sui temi dell’Agenda Digitale, meno leggi approvate dal Parlamento ma con obiettivi chiari e misurabili.
Almeno a parole i buoni propositi della politica non mancano.
Chiamati a commentare il Manifesto Anitec in merito a eGovernment, banda larga, R&d nel settore Ict, e-learning, sicurezza informatica, Sanità digitale, Green economy, Trasporti & Logistica, e-commerce e Single digital market in Europa, i punti che accomunano Pd, Pdl, la lista Con Monti per l’Italia e Fare per fermare il declino, non mancano.

Ciascuno per il suo, da Luigi Vimercati ad Antonio Palmieri, da Linda Lanzillotta a Oscar Giannino, il parere è unanime e invoca “nessun sottosegretario senza portafogli al ministero dello Sviluppo economico a occuparsi dell’Agenda Digitale, che dovrà essere un impegno del Primo Ministro delegabile, al massimo, a qualcuno all’interno di Palazzo Chigi, dove risiede il potere”.

Smettere di misurare la produttività del Parlamento in base al numero di leggi approvate” (Lanzillotta – Con Monti per l’Italia); “Deminesterializzare l’Agenda Digitale introducendo contratti di lavoro a tempo misurabili per l’alta dirigenza Pubblica, e una capacità tecnica e una funzione organizzata di valutazione dei diversi provvedimenti per ragioni che abbiano a che fare con il potenziale di crescita del Paese” (Giannino – Fare per fermare il declino); “Superare la polarità tra il ministero dello Sviluppo economico e quello dell’Economia” (Vimercati – Pd); “Evitare di inventare da capo ogni volta la ruota dell’Agenda Digitale ma lavorare sui decreti che ancora mancano per spingere l’attuazione delle azioni” (Palmieri – Pdl) sono i principali commenti che si sono succeduti per indicare le precondizioni ritenute necessarie dalla politica affinché l’Agenda Digitale venga attuata e si affermi nel nostro Paese.

Per tutti, di nuovo, dito accusatorio puntato sull’ingombrante “ex monopolista del rame” (come l’ha definito Oscar Giannino), in Italia colpevole di aver ostacolato lo switch off verso la fibra ottica e la conseguente «componibilità con tutte le attuali tecnologie mobili e della rete ultralarga» aggravata dalla «cosiddetta “sensibilità” del regolatore Pubblico al problema del debito dell’incumbent».

La questione delle infrastrutture in banda larga è uno dei tre punti ritenuti fondamentali anche dal Pd rappresentato da Vimercati che, dal decalogo del manifesto Anitec, tira fuori anche l’e-learning «per far crescere le competenze tecologiche degli italiani» e lo sviluppo dell’e-commerce sul quale già Antonio Palmieri, responsabile Internet e nuove tecnologie del Pdl, si è espresso per sostenere insieme alla defiscalizzazione «le imprese che producono e vogliono andare all’estero con una piattaforma ad hoc».

In sintonia con Giannino, per Lanzillotti (unica voce a sottolineare come la modernizzazione collegata all’informatizzazione del Sistema Paese sia anche “affare dei Sindacati”, ndr), «la copertura dei provvedimenti non dev’essere fatta solo in termini di contabilità finanziaria ma anche economica», mentre per realizzare una sorta di Project financing all’interno alla Pa, così come auspicato da Stefano Parisi, «occorre modificare la testa con cui si costruisce la dinamica dei conti pubblici».

Eppure, in un’Italia dove poco pare funzionare, l’idea di realizzare gli obiettivi dell’Agenda Digitale «impegnando le amministrazioni Pubbliche sui futuri risparmi» non sembra poi così male.

Lanciata dal numero uno di Confindustria Digitale, la proposta è di «lavorare con un fondo ad hoc destinato alla digitalizzazione della Pa e da cui le amministrazioni potranno attingere per realizzare investimenti volti a migliorare le proprie performance restituendo un terzo dei risparmi generati sia che gli obiettivi prefissati nel business plan che dovranno produrre vengano raggiunti o disattesi».

Senza false illusioni, però.

Siamo, e a oggi restiamo, il Paese in cui i ritardati pagamenti della Pubblica amministrazione hanno contribuito pesantemente a mettere in ginocchio l’economia di aziende cui neanche l’ennesimo richiamo dell’Unione europea e il limite ultimo fissato a un massimo 60 giorni è riuscito a porre un freno.

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